Horizon Zero Dawn - Orizzonti di gloria



Dopo la stagnante saga di Killzone, da anni dentro un vuoto pneumatico concettuale, duraturo e preoccupante, i Guerrilla risorgono dalle loro ceneri, portandoci una nuova proprietà intellettuale di Sony, offrendoci un'esperienza non esattamente diversa da altri titoli, ma decisamente coraggiosa e ben strutturata. Horizon: Zero Dawn è un sandbox open world con una vasta mappatura, sapientemente pennellata da autentici artigiani del dettaglio che hanno ritratto in maniera pressoché unica questo autentico olocausto della natura primigenia e questa glorificazione del metallo post-apocalittico. C'è tanto steampunk nell'era post-glaciale di questo titolo. Horizon: Zero Dawn anche se non è certo privo di problemi e conflittuali compromessi ludici, ha ampiamente superato tutte le aspettative, rendendo Aloy, la protagonista di questa avventura, nuova beniamina della libreria PS4. La nuova esclusiva di Sony è uno spettacolo visivo come pochi titoli e devteam sono in grado di garantire al giorno d'oggi, specialmente alla loro prima grande occasione. È anche una ricca e divertente avventura con un solido background in storia e tradizioni del mondo stesso in cui si sviluppa abilmente. Un titolo profondo insomma, che offre un'identità ben sfruttata e che dona una certa unicità al titolo ma, come spesso accade, Horizon è anche un'avventura minata da tantissime leggerezze che mai andrebbero accettate remissivamente da nessun gamer che si rispetti. NB. Ogni immagine correlata a questo articolo è stata scattata con la modalità "fotografia" di HZD. Questo evidenzia la bontà del titolo dal punto di vista squisitamente grafico ed estetico.


C
entinaia di anni dopo una terribile catastrofe che ha messo in ginocchio la razza umana, la natura ha reclamato nuovamente la terra, strappandola brutalmente all'uomo che se ne era impossessato fin dai primordi. Tutto quello che rimane e si estende fino a perdita d'occhio su tutta la superficie del globo terrestre, sono solo le antiche e ormai dimenticate, spoglie di un popolo tecnologicamente avanzato ormai reso muto. Non ci sono più comunicazioni impazzite della rete che attraversano la terra, non ci sono più battaglie olografiche di mech dentro arene e nemmeno crediti per acquistare qualche bene di lusso iper-tecnologico. Le vestigia di una civiltà ormai scomparsa e decaduta, nota come i predecessori o antichi, è ricordata da scheletri di palazzi che ormai come fantasmi invasi dalla vegetazione punteggiano un panorama devastato. Carcasse di automobili corrose dal tempo e antiche macchine da guerra ormai dormienti sono l'eredità dei predecessori. Un popolo che aveva smarrito il contatto con il divino, il sacro, l'infinito, fino a far adirare gli dèi.


Restituito prepotentemente alle sue radici primitive, la razza umana non ha potuto fare altro che organizzarsi ancora una volta, come già avvenne in passato, in tribù. Gruppi di uomini e donne che non conservano più alcun barlume o nozione tecnica in antico uso ai predecessori. Un magico caledoscopio di credenze mistiche e conoscenze arcane, e variopinti capi di vestiario su cui vengono applicati circuiti integrati, come conchiglie, sono tutto quello che rimane agli indigeni di questo neonato pianeta incontaminato. Arrancano faticosamente, e combattono giorno per giorno, con lance ed archi dentro questo scenario primitivo contro un nuovo rivale: Le macchine. La terra, ora, è abitata da enormi robot con fattezze animalesche. Non si sa da dove provengano. Non si sa cosa le muova, quel che è certo è che sono sempre più numerose ed agguerrite. Enormi foreste pluviali, assolate vallate desertiche e corsi d'acqua che scorrono impetuosi, ospitano la nuova specie dominante: letali agglomerati di metallo circuiti e sensori, ostili agli esseri umani. Raggruppati dietro le mura dei loro insediamenti o nascosti dietro le fragili palizzate dei loro accampamenti, gli ultimi esponenti della razza umana cercano disperatamente di sopravvivere. E con loro Aloy, Aloy l'emarginata.

Horizon: Zero Dawn è un gioco essenzialmente di caccia.
Lo scopo del gioco, e le mille funzionalità legate al game-design stesso del titolo, ruotano attorno alla caccia di macchine semoventi, di grandi, piccole e medie dimensioni. Un lungo gioco di caccia dunque, che si protrae per oltre 20 ore di intensa attività ludica. A tratti ispirato, a tratti noioso, a tratti superlativo. Il fulcro del gioco di Guerrilla, alla prima esperienza con un gioco open world in terza persona, è quello di far cacciare alla nostra rossa protagonista macchine letali, aumentare il suo livello, in una inappropriata e azzoppata costruzione rpg a livelli, non del tutto a suo agio, e recuperare dalle carcasse di questi Z.o.i.d.s "pezzi" che compongono queste macchine che fungono da valuta e anche strumento di crafting in questo spossato presente. Successivamente, la nostra Aloy, dovrà fabbricarsi diversi oggetti, perlopiù munizioni adatte alla caccia, oppure abiti, trappole, bombe, pozioni...insomma, il solito equipaggiamento, niente di nuovo sotto il cocente sole primitivo. Un ricco armamentario degno di una cacciatrice è tutto il necessario che le serve per sopravvivere in un ambiente ostile. Molto ostile.
La nostra indigena è immersa dentro panorami primordiali, che ricordano una fusione di arte concettuale post-apocalittica, convincente sia per estensione che per meticolosità creativa. E da queste landscapes suggestive e davvero magnifiche, che si alternano con cicli diurni e notturni, deve indagare sul suo passato e sul mondo pericoloso che la circonda.

Gli Zoids sono un franchise ed una linea di giocattoli creati da Tomy nel 1982
caratterizzata da robot giganti (o mecha) chiamati Zoids.
 
Gli Zoids sono essenzialmente grandi animali meccanici basati 
su forme di animali o dinosauri 

Sorprende una certa somiglianza con i modelli della linea di toys della Tomy
con il gioco dei ragazzi di Guerrilla

Conseguentemente a questa dinamica principale, che traina interamente l'intera esperienza di gioco, la storia di Aloy e della sua pacifica, ma determinata tribù, oltre che quella di parecchi clan sopravvissuti, procede abbastanza agilmente. Sebbene mostri alti e bassi, ed inaspettatamente presenti aspetti buoni e sufficientemente interessanti, specialmente nella missione principale, costruendo diversi momenti riusciti e istigando il giocatore a voler procedere. Lentamente una narrazione densa e ben definita spiegherà ogni aspetto di questo nuovo mondo e anche del vecchio, lasciato alle nostre minute spalle. La mappa mostra una serie di collezionabili da recuperare, statuette, files, tazze che aiutano a sostenere la mitologia di Horizon, tutti i collezionabili sono funzionali al costrutto ludico. Raccontano una storia, aumentano il folclore e nel complesso, fanno il loro dovere stendendo il racconto con cura. Il gioco alterna cose decisamente ispirate a scelte assai discutibili, coreograficamente poco convincenti, forse costruite in evidente fretta, forse pianificate male. Proprio nel momento cruciale, quello più delicato, in cui un racconto non può dimostrare incertezze o punti deboli, altrimenti di dimostra solo un bellissimo esercizio di stile, Horizon crolla. Si parla dell'epilogo, nella fattispecie. Gioia e condanna di molti titoli, ma sopratutto, prova del nove per dimostrare la sua sintesi ludico/artistica/narrativa. Un gioco consegna il proprio compito proprio nelle battute finali, certamente può aver già costruito un solido rapporto con il giocatore già da prima, in corso d'opera, ma l'epilogo è un passaggio importante, finale e determinante per un titolo come questo. Perché portare l'epilogo come esempio? È presto detto.


Horizon vive di questo paradosso ludico pressoché costante: certi aspetti sono davvero mirabili, altri sono frutto di una incapacità apparente da parte di Guerrilla di estendere il giocato, sia narrativamente che ludicamente. Un'incapacità a tratti fastidiosa, che compromette in parte il grande lavoro di stesura ed appoggio del gioco. Che rovina la meticolosa cura descrittiva e la ricercata scelta compositiva di creare un gioco che si spiega non solo con arte visiva, ma anche con arte descrittiva e uditiva un panorama decisamente interessante. Per esempio, le missioni secondarie, a differenza di altri titoli, lasciano davvero il tempo che trovano, offrendo dinamiche scontate, dialoghi da facepalm e uno sviluppo didascalico che non può soddisfare nessuna categoria di giocatore moderno o gamer che si rispetti, specialmente chi ha giocato altri titoli odierni. Mentre di contro, proprio il percorso per raggiungere sulla mappa queste missioni insignificanti, spesso vi lascerà senza fiato. Quando vi inoltrerete all'imbrunire, in un bosco o una palude che pigramente abbraccia una costruzione dei predecessori, il gioco restaurerà quel senso antico di scoperta e meraviglia, che solo i migliori titoli sanno gestire al meglio. Il percorso è di gran lunga più soddisfacente della meta.














Il materiale di base è ottimo, lo svolgimento è parecchio incostante.
Avrebbe giovato enormemente al titolo, per esempio, tentare un'approccio più adulto, premendo sul contesto drammatico dell'intero scenario, sfruttando l'idea alla base del gioco, ovvero uomini assediati da forze robotiche enormemente superiori alle loro, che contagiano lentamente il mondo in cui questi vivono e che ne determinano e condizionano la vita. Avrebbe aiutato anche per via del target odierno del videogioco (35 anni circa) Horizon, verso tale senso, è un'occasione sprecata, non c'è mai una vera e propria tensione alla base del racconto, e anche gli sporadici assedi delle macchine agli insediamenti umani [eventi perlopiù scriptati] non restituiscono mai davvero il senso di tragedia che incombe sull'uomo. La morte o la vita di queste comunità tribali resta sospesa in eterno momento, un infinito spazio non meglio definito, o una cartolina da videogioco. Tutte zuccherose le comunità indigene sparse sulla mappa, tutte pronte ad elargire generose ricompense alla giovane Nora (Aloy), tutte perfettamente ritratte, ma a benefico di raccontare un videogioco. I personaggi sono personaggi da videogiochi. Il loro compito è assegnare una missione, ripetere a macchinetta quattro frasi per aumentare vagamente la mole di infodump disponibili e poi, al ritorno, offrire una ricompensa, più meno utile. Un po' pigro per gli standard dettati nel binomio 2016/2017 (?)


Vero e proprio vanto del gioco è il combattimento che si estende ben oltre gli apparenti limiti del gioco, un'autentica fucina di approcci. È entusiasmante combattere queste ciclopiche creature metalliche, piazzare ordigni di prossimità e farli detonare, cecchinare con un arco e con munizioni speciali questi molossi, inseguirli e affondare colpi a ripetizione, tessere una complicata tela di cavi esplosivi, braccare, nascondersi, attendere il momento giusto. Ogni creatura ha un sistema di resistenze e punti di forza, ogni "mech" va studiato e conseguentemente approcciato con munizioni e una strategia adatta allo scopo. Sarà necessario un minimo di preparazione per esempio, quando avvisteremo branchi di macchine, o finiremo triturati con due zampate o un paio di cariche ben piazzate di questi poderosi e corazzati animali. La materia è vasta e il giocatore si potrà genuinamente sbizzarrire, rimuovere antenne che segnalano la sua presenza alle altre macchine, o far esplodere un serbatoio di propellente come diversivo, sono solo alcuni degli approcci disponibili. La tanto decantata IA fa il suo dovere, spesso sarà necessario nascondersi e sospendere la caccia. Così, quando un temibile Divoratuono (ThunderJaw), vi punterà e vi braccherà senza tregua, fino a spingervi dentro una spaccatura di una montagna che madre natura ha assolutamente generato casualmente nella morfologia di ere passate, benedirete questa irrequietezza del game design, che spesso offre spunti unici. Il feeling della caccia è restituito prepotentemente per le prime 10 ore, il tempo per scoprire l'intero bestiario di Horizon: Zero Dawn.  


Successivamente, decidere di abbattere le macchine che pascolano liberamente in questo mondo decaduto diverrà un passaggio necessario, non semplicemente opzionale. È abbastanza infruttuoso e anche parecchio controproducente, non fare cacce opzionali. Attività più o meno da compiere mentre proseguiamo nel percorso che già stiamo seguendo, sia che si tratti di una missione principale o di una missione secondaria, o di una commissione. Questo costringerà il giocatore ad intraprendere molte missioni secondarie per poter accumulare livelli necessari ad affrontare una missione specifica o ottenere armamenti particolari, ma annacqua forse troppo la narrativa di fondo del gioco; se le prime missioni faranno confluire agilmente il giocato, in una soluzione continuativa non-stop appassionante, non appena il gamer scafato avrà capito il tenore di gioco e la superficialità insita nelle missioni secondarie, maledirà la mappa e la locazione dei percorsi e ogni icona di questo gargantuesco open-world. Altri titoli, con molte meno pretese, sono riusciti a condensare meglio questi aspetti nel giocato. Uno dei problemi più evidenti di Horizon è la forzatura apparente a compiere cacce, anche se non è nostra intenzione, per procedere saremo spesso chiamati a a farlo.






Una delle caratteristiche più esaltanti di HZD, è la casualità apparente a cui tutto il gioco si lega intimamente. È adrenalinico correre in una vasta prateria mentre enormi macchine caricano la nostra Aloy e salvarsi grazie alla bontà della pianificazione della mappa, che offre colline, dirupi e costi d'acqua, lo è allo stesso modo incastrarsi in un interstizio di rocce arse da un sole cocente, oppure attendere pazientemente dentro un pertugio scavato nella terra, l'occasione. Mentre a Meridiana, la città principale più grande del gioco ci sono limitazioni su scale, ringhiere e persino balaustre e balconate, che impediscono persino di raggiungere un piccolo dislivello, il gioco "OPEN" è molto più stimolante di quello chiuso. In diverse occasioni, il gioco mette spigoli ed angoli ciechi, posizionando piccoli spazi da cui cecchinare i nemici, oppure dispone zone che sembrano tutto, tranne che pianificate attentamente. Sono messe apposta? Questo è ampiamente dibattuto, ma ciò non toglie che restituisce un feeling da cacciatrice che fa sensibilmente decollare il gioco. Horizon vive al contempo di una ingenuità spiazzante, una profondità ludologica compromessa dal suo reparto giocoso che alterna gioie e bellezze dalle missioni secondarie a quella principale, ad aspetti scarsi e poco curati. Su questa base Horizon: Zero Dawn cade allo stato seminale a cui aspira, la materia ludica che tratta in maniera apparentemente superficiale a volte ha improvvisi guizzi, si impenna; una precisa progressione può diventare meno consequenziale e ciò è parecchio inaspettato e anche molto felice. Ma allo stesso modo possono deludere tante superficialità che si concede.


In conclusione, Horizon è un titolo, non esente certamente da difetti, che inaspettatamente trasforma in una serie di complesse problematiche ludiche e di carattere narrativo, anche se Aloy e la sua storia, riescono a risollevare e a risollevarsi in molte occasioni, questa enorme fatica di Guerrilla è una proposta inaspettatamente contraddittoria. Da un lato Horizon: Zero Dawn è un ambizioso show tecnologico per la piattaforma Playstation 4 (Pro e non) di Sony, un autentico punto di riferimento visivo per questa generazione di console, che offre un mole di dettagli e scorci davvero impressionante. Le dinamiche di lotta funzionano, parte del gioco è ampiamente riuscito, e garantisce ore appassionanti.
Eppure, la sua meccanica di gameplay, l'architettura della mappa di stampo Ubimanieristico, la ripetizione ciclica di meccaniche per oltre 20 ore, la povertà sistematica dei dialoghi, la piattezza esasperante dei caratteri dei personaggi che animano questa autentica epopea primitiva, ad esclusione di Aloy, non garantiscono la nascita di una supernova videoludica.


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