Uncharted 4 (2016) - La (s)ventura di Nathan Drake?



CONSOLE                PS4
GENERE                  AVVENTURA / SPARATUTTO
TESTI/AUDIO         ITALIANO
RELEASE                10 maggio 2016
PEGI                         +16





COMMENTO AUTORI (3)

Capitan Brod Brega

3/5

Con Uncharted 4 Naugthy Dog ha completamente floppato dimenticandosi ciò che hanno reso importante questo brand, gli scontri a fuoco adrenalinici, per proporre un continuo di scalate lineari in ambientazioni MAGNIFICHE utili solo a sancire l’innegabile e già assordata capacità tecnico-artistica clamorosa della software house americana.

Il gioco è lento, borioso ed è un vero peccato perché quelle rare volte in cui si spara, il sistema di shooting dimostra di funzionare come sempre alla grande e le notevoli migliorie stealth apportate permettono di approcciare i nemici, finalmente con gusto, anche agendo esclusivamente nell’ombra.

L’incedere scelto è dunque un harakiri micidiale. Le fasi di scalata nei precedenti Uncharted erano piacevoli nella loro linearità e semplicità perché piazzate qua e là per far tirare il fiato fra una sparatoria e l’altra, ma palesemente incapaci di reggere un intero gioco ed Uncharted 4 dimostra proprio ciò (….il fatto di poter guidare l’auto liberamente in alcuni capitoli non rattoppa le magagne).

La trama un po' più seria del solito funziona, ma potevano essere accorciati alcuni momenti interattivi e flash back scalata-centrici decisamente noiosi.

IN DEFINITIVA non ci sono dubbi, Uncharted 4 è di gran lunga il peggiore della serie. E’ solo un maestoso spot delle capacità tecniche di PS4. Manca quel bada-boom continuo di situazioni che hanno reso memorabili i precedenti episodi. Da fan della serie la delusione è enorme, da critico super partes siamo al cospetto di un titolo poco più che discreto, di gran lunga trascurabile. 


Aku

4/5

Ho un debole con i titoli di Naugthy Dog. Come dimostra il voto.
Non riesco mai a giudicarli con mente salda o strettamente analitica.
Non riesco mai, e sottolineo, MAI, ad interfacciarmi del tutto con il gioco come vorrei.
Vengo sempre irrimediabilmente, o quasi, sospinto dentro le correnti turbinose della magnificenza visiva offerta dai ND. La cinematograficità pretestuosa e talvolta posticcia mi lascia senza parole, e l'assoluta esegesi estetica ed oserei definire "estatica" che il gioco mi porge, panorama dopo panorama, cartolina dopo cartolina, mi impatta addosso come un panzer tedesco della WWII.
Tralasciando la solita ecumenica trafila di pacche sulla spalla e felicitazioni; il gioco è obiettivamente senza pari per compostezza visiva e globalmente qualitativa, voglio indagare su un aspetto che in pochi hanno sollevato.
Alla base di Uncharted IV c'è un problema che renderà felice chi si perde, genuinamente, nella cosiddetta dissonanza ludo-narrativa, cioè uno degli aspetti più sofisti del neo-nascimento videoludico di questi fruttuosi anni di intellettualità assortite sul media.
Chiariamo al meglio delle mie possibilità.
I primi 3 Uncharted (e mezzo, si veda il capitolo PSP VITA) erano fondamentalmente titoli "cazzoni", con protagonisti tutto sommato "cazzoni" e una atmosfera parecchio caciarona di fondo. Si purgavano i nemici al suon di sonori cazzottoni o raffiche di piombo ben indirizzate. Di fatto, che "Nat" o "Sully" o "Elena" ammazzassero ogni nemico che si parava davanti, umano (e non), non poteva che rendermi gaudente, perché funzionava nei binari del gioco.
Ma qui, stavolta, il gioco cerca di dare un tono serioso al racconto.
Fa il The Last of Us, con il culo di Uncharted. Brutale ma perfetta effigie del suo operato.

Qui il gruppo di allegri sparacchiatori sbarazzini, icone della terza generazione di console di casa Sony, diventa una vera e propria family-compo, con il nonno, la mamma, il fratello, il cugino iroso, la zia ...che cercano, tutti assieme, di salvare una vita in ballo (o no), a rischio della propria.
Tirando giù da un pioppo di opportunità narrative gioventù bruciate, sentimenti familiari, ricerche materne e della propria identità, significato della vita, codice del matrimonio, etica, coraggio ed onorabilità. Condite anche con il Love will be Eternal. 
Insomma, sei lì, completamente stravolto, impantanato dentro un gioco che di tecnica fa massiccia virtù, mostrando davvero quell'avanzamento del videogioco necessario, quando, dopo una ondata di soldati nemici, ti senti il pippotto sul come salvare la vita all'amato fratello.
Se ogni vita da togliere in Tlou pesava come una mattonata in piena faccia, qui le vite dei nemici sono sagome da impallinare, far esplodere, cacciare giù dai dirupi, senza contraccolpi, ed è divertente farlo brainless, intendiamoci.
Ma forse, quell'avanzamento necessario, attuato in Tlou, andava soppesato meglio anche qui, se mi parli di salvare una vita, non puoi fornirmi di mezzi per estirparne centinaia.
Oltre al fatto che (cosa non da poco) i nemici sono ben lontani dall'essere detestabili come, per esempio, i brutali cacciatori di Joel ed Ellie. Mi preme spingere su questo aspetto, perché c'è relativamente "poco" da dire su Uncharted IV - compito svolto ai massimi consentiti in questa gen -

IN DEFINITIVA Una storia epica, curata ed intrigante, una grafica superlativa, ai top generazionali  una fisica superlativa [si veda la specifica sezione fune e verricello prego] un sistema di animazioni esagerato - basti pensare alle ragdoll dei nemici che sfiorano un realismo quasi accecante - IA e dimensioni delle aree mostruose danno davvero una marcia in più, ponendosi come nuove fondamenta di nuove opportunità non pienamente colte, forse, ma decisamente stuzzicanti e ben congegnate. Un finale stra-epico sembra spingere verso nuovi incontaminati atolli, ma globalmente "La Fine di un Ladro" è un gioco semplicemente immancabile per un utente PS4 e, più globalmente, un amante dei videogiochi.


The Metaller

3/5

A scanso di qualsivoglia equivoco, chiariamoci in via preliminare: Uncharted 4 è un gioco confezionato con un amore ed una meticolosità tali da farlo assurgere, istantaneamente, a nuovo parametro di riferimento dell'industria.
Non si tratta necessariamente di ciò che fa ma di come lo fa e della che costanza con cui lo fa.
Detto questo, alcune scelte di game design lo hanno reso, per un verso, una NETTA evoluzione della ricetta alla base dei capitoli PS3, per altro verso un'esperienza ibrida un po' incerta.
Cosa voglio dire?
Uncharted è sempre stato un gioco d'azione con contornino di "soft adventure". Con il quarto capitolo, la bilancia si è inequivocabilmente spostata, con il risultato che ciò che nelle passate uscite era il contorno, ora copre circa il 50% dell'esperienza.
Quando Uncharted fa il gioco d'azione, è la definitiva evoluzione della formula, un incremento concettuale e qualitativo rispetto al quale non si torna indietro: è come se Uncharted avesse concepito un figlio con The Last of Us, consegnando un concentrato di azione sparacchina fortemente verticalizzata, mista a furtività predatoria, devota alle intuizioni, alle improvvisazioni ed alla pianificazione del giocatore. Il tutto condito con finezze in termini di distruttibilità delle cover e ritaglio delle linee di tiro, che non vedevo messe così ben a fuoco da Gears 2 e Max Payne 3. Il tutto in delle arene wow con un'IA assolutamente adeguata allo scopo.
E anche quando la ricetta viene portata in contesti più scriptati e votati allo spettacolo, le sfumature ludiche si sprecano. Il capitolo 11, per intenderci, è tranquillamente il "nuovo treno".
I problemi affiorano nell'altra metà di Uncharted 4, in quella che una volta era "diversivo" ma oggi rivendica ben metà delle già non troppe numerose ore di gioco. Le escursioni in jeep funzionano, pennellano piacevoli sentimenti di avanzamento lungo un viaggio predefinito e scuotono corde emotive solo di recente sollecitate da The Last of Us, altrimenti intoccate da Half-Life 2. I puzzle classici, nella loro banalità old school, rimangono un piacevole diversivo. Tutto il resto è troppo, troppo passivo, improntato all'immersione estetica e narrativa a scapito della partecipazione attiva del giocatore.
Troppe, troppissime le scalate sostanzialmente lineari e senza alcuna forma di sfida. Troppe le volte in cui il personaggio non giocante di turno imbocca Nathan con dritte sul percorso da seguire o sulla risoluzione del puzzle.
Poi ci sarebbero le sezioni da cosiddetto "walking simulator" a la Gone Home, in cui fondamentalmente si cammina esaminando e ricostruendo pezzi della storia di Nathan o della mitologia piratesca.
Prese di per sé sono anche belle, ma quanto possono coesistere pacificamente con altre sezioni di un gioco che, in una scala da 1 a 100, tocca picchi di adrenalina pari a 110 con lode? Sarebbe, forse, bastata la furbizia di collocarle in momenti di naturale calma narrativa, come nello splendido inizio o nell'ancor più magistrale finale. Invece, a volte, irrompono bruscamente, a mo di coito interrotto, troncando crescendo nell'azione. Un esempio per tutti, il capitolo 16. O per vedere fino che a punto, in un gioco d'azione, è possibile sacrificare il GIOCARE in favore del VEDERE, rivolgersi allo scontro finale.
Uncharted 4 non è The Last of Us, cioè un gioco che di suo ha dei ritmi base più compassati ed in cui il "passeggiare" nel nulla per metri e metri reca in premio risorse per la sopravvivenza.
Non si tratta di cercare il proverbiale pelo nell'uovo. Non si tratta di inseguire a tutti i costi la sfida o chissà quale utopico ideale di perfezione formale. Ho sprecato elogi su giochi funestati da problemi ben più evidenti, oggettivi e presenti. E sì, lo so che Uncharted è e vuole essere un blockbuster di intrattenimento alla portata di tutti, il corrispettivo videoludico di un Indiana Jones.
Ma Uncharted 4 non è un gioco di 25, 50 o 100 ore, in cui sviste, inciampi o incertezze di ritmo si diluiscono e riducono per rilevanza a fronte dell'ammontare lordo di qualità elargita.
Semplificando, se a fine pasto ho ancora fame, e qui e lì ci sono scappati pure un paio di sbadigli, forse qualcosa non è andato per il verso giusto. Ora, a mio avviso, quel qualcosa non impedisce ad Uncharted 4 di essere il mirabile e comunque imperdibile gioco che è, ma lo estromette dall'eccellenza complessiva.



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