SPECIALE - The West Mansion of Splatterhouse

PS3 | XBOX 360

ATTENZIONE! IL CONTENUTO DI QUESTO BACKSTAGE PUO' RISULTARE SGRADEVOLE E OFFENSIVO ALLA LETTURA, A CAUSA DEL SUO CARATTERE VIOLENTO E SPLATTEROSO, VI PREGHIAMO DI NON FARE STAGE DIVING E A TERMINE DELLA LETTURA UTILIZZARE L'USCITA DI EMERGENZA. 

LA DIREZIONE  DEL FULL MOON FESTIVAL


UNA DOVEROSA PREMESSA DI SANGUE

Questo speciale ha una lunga storia che si porta appresso, una storia quasi drammatica. Una storia che l'ha visto riscrivere parzialmente per ben due volte, non ultima una terza volta, evento infausto che avrebbe spinto chiunque sano di mente, ad abbandonare l'idea di raccogliere nuovamente tutte le fonti cercate ed accumulate, tutte le immagini correlate e così via. E' come se il destino stesso o i Grandi Antichi mi avessero spinto a reiterare il blasfemo culto di riscriverlo e curarlo al meglio delle mie scarse possibilità, quasi come se si rendesse necessario da parte mia ripetere più volte questa storia, in modo da imprimermela bene in testa. Una storia dietro ad un videogioco, un backstage che non solo merita di essere conosciuto, ma persino raccontato.

Può sembrare dopotutto uno speciale di poco conto, del resto un gioco come SplatterHouse potrebbe essere erroneamente preso sottogamba, scambiato per un giochino da quarta di copertina o cestone. SplatterHouse è l'esempio lampante di come vengono trattati certi prodotti cosiddetti di seconda categoria e di come questa industria ed i suoi abitanti, oltre che a vivere in una bolla di assoluto "non sapevo" (in pratica il videogioco moderno pare non abbia storia) non riescano o non vogliano riconoscere meriti o coraggiosi tentativi, almeno non fino a quando i prodotti non diventano triple A come da contratto, nel qual caso tutti in ginocchio allora, a venerare quello che, in definitiva, sappiamo fin troppo bene non lascerà quasi mai traccia. Sottovalutato da molti giocatori, massacrato dalla stampa più o meno professionale e di settore, il reboot di SplatterHouse non figura certo tra i più grandi successi commerciali di sempre, con le sue 180.000 copie che urlano vendetta. Forse sarebbe stata necessaria soltanto un po' più di competenza da parte di una stampa troppo generalista e poco informata, oltre che da un fitto sottobosco di players, i quali sembrano provare un piacere quasi sadico nell'affossare giochi "figli di nessuno"...e gli esempi, credetemi, non mancano, basta guardare negli scorsi anni che trattamento hanno avuto diversi titoli con intuizioni geniali.

Questo speciale non è solo voluto perché noi di GMC riteniamo che il reboot di SplatterHouse sia assai meritevole di essere recuperato e giocato, questo speciale si è reso necessario perché vogliamo far conoscere una storia che in pochi conoscono o che nessuno ha mai letto e forse persino scritto e forse nemmeno mai sentito. Questo speciale tenta di sconfiggere la non-storia del videogioco moderno, e tenta di rendere nota una vicenda, fatta di passione, entusiasmo, scambio reciproco e soprattutto rispetto da ambo le parti, da chi sviluppa e da chi è fan di una serie (e mai come oggi un articolo del genere si rende necessario). Una lezione che ancora oggi non è sempre recepita da entrambe le parti, fin troppo radicate sulle convinzioni che ammodernare è rendere esplicitamente omaggio, che reinterpretare significa essenzialmente riproporre, tassativamente con un taglio più moderno e dinamico, e che fare un "reboot" significa fare tabula rasa del quanto di buono fatto e proporre una propria visione personale. Sono sicuro che Là Fuori, già qualcuno si agita, e già qualcuno d'accordo con me. A voi dunque, prendete le informazioni come una storia moderna o una fairytale della passata generazione, e come tutte le favole, tenete bene a mente che insegna sempre qualcosa e c'è un fondo di verità.

THAT'S ALL FOLKS

Nell'indifferenza generale di tutta o di buona parte dell'intera comunità videoludica di AltroQuando (mi si passi la metafora Martin Mysteriana), sempre pronta e fin troppo reattiva a decifrare correttemente le minchiate del Patcher di turno o lesta a ricoprire di fantasiosi epieteti offensivi l'operato della solita EA o Ubisoft che mai si lascia il guizzo di passare inosservata, nell'anonimato più fastidioso e pesante nel quale si possa relegare un collettivo, nel 2007 la West Mansion ha chiuso i battenti, un'ultima ma significativa volta.
Dopo anni di onorevole ricerca e diffusione, dopo anni di correzione, meticolosa analisi e spargimento del verbo, la mecca oscura dei fans della saga splatter più famosa di sempre, ha smesso di esistere, il corrotto e purulento cuore che alimentava, attraverso una ramificata struttura di venacce viola (perlopiù forum e tagboard) la linfa a tutta la comunità di SplatterHouse, ha smesso di pompare sangue, facendo avvizzire in un grumo stoppaccioso e di colore indistinto, tutta la sua comunità che contava ferventi appassionati dal Sud America al Giappone, dal Cile alla Svezia, dal Messico alla Francia, spargendo le speranze (ed i suoi membri) su Neo-Gaf o su altri luoghi di pellegrinaggio videoludico.
Correva l'anno 1988 quando il tripudio degli archertpi orrorifici degli anni 80 faceva la sua disgustosa comparsa, tra schizzi di emoglobina e raccapriccanti scenari a base di carne e trippa, uno dei beat 'tem up a scorrimento più originali e accattivanti mai concepiti, che imbastiva su un piatto freddo di giocabilità e stilemi anni 80, la più classica e collaudatoria formula per l'intrattenimento godereccio che le console casalinghe potessero garantire : ammazza e procedi.
La West Mansion è stata da sempre la più grossa e nutrita comunità di fans e appassionati della saga di SplatterHouse e gli anni precedenti alla sua definitiva chiusura, furono molto frenetici, ricchi di avvenimenti e di speranze fino a culminare in uno spettacolare addio, come quando cessa una serie televisiva molto amata o uno show radiofonico caro. Si conclusero le attività di una delle più prolifiche comunità di tutta la rete, piena di appassionati e ferventi devoti a Rick e alla Hell Mask. Ma prima di rendere il dovuto omaggio al lavoro prezioso di questo grosso hub di fans, dobbiamo fare un salto indietro.
Tutto ci porta nell'anno del Signore 2005, poco prima che il 29 Settembre, la Bandai Games firmi un importante contratto ed assorba la storica Namco di Masaya NAkamura diventando appunto la celeberrima Namco Bandai Games (Holdings Inc) di fatto la terza, più grande e potente società di group gaming del Giappone, direttamente dietro a Nintendo Co. e Sega Sammy Holdings. La società fin da subito ha le idee chiare, nonostante quasi il 70% della loro produzione si concentri quasi esclusivamente su titoli realizzati, prodotti e distribuiti sul territorio giapponese, le intenzioni del nuovo, rinnovato, colosso, sono quelle di stringere importanti accordi commerciali e nello specifico rilasciare licenze di sviluppo, specialmente con produttori d'oltreoceano. Seguendo le orme delle ormai consolidate sorelle Konami e Sega, che già da diversi anni cercano e hanno ottenuto importanti partner occidentali per la creazione di nuove IP o il gran rispolvero delle vecchi e storiche saga classiche, con risultati, è bene specificarlo, altalenenti. Forte di queste nuove condizioni per entrare nel mass market videoludico odierno, la neonata Namco Bandai Games, rende nota il 22 Ottobre, una specifica richiesta aziendale, indirizzandola tramite appositi canali (Gamesutra per esempio, o NeoGaf) proprio ai devteam di mezzo globo. Sostanzialmente si tratta di una lunga lettera aperta a tutti i team di sviluppo e i produttori sparsi in Occidente, questa lettera aziendale li esorta a rendersi disponibili per eventuali, gradite, collaborazioni che mostra una disponibilità Namco Bandai per produrre giochi nuovi. Nello specifico, una specifica frase del comunicato stampa comunicava quanto segue:

"Titoli con contenuti adulti o maturi, saranno presi in considerazione da Namco Bandai Holdings Inc"


Shukuo Ishikawa Presidente e CEO della Namco Bandai Games

Nel 2005, Xbox 360 era nei negozi, la PlayStation 3 era dietro l'angolo, e i giganti dei media Namco e Bandai si erano appena uniti. Makoto Iwai aveva assunto un posto come vicepresidente senior presso l'ufficio degli Stati Uniti appena entrato in Namco Bandai. Iwai, un veterano della Sony, afferma che la sua missione era chiara: trovare un successo per la nuova generazione di console. La società aveva una serie di franchise come Ridge Racer e Tekken dai suoi studi in Giappone, ma il mercato occidentale stava crescendo. Giochi violenti e incentrati sull'Occidente come Grand Theft Auto stavano decollando, e Namco Bandai voleva un pezzo di quel successo. Iwai provò a raggiungere quel successo con diverse manovre: un gioco basato sulla serie anime americana Afro Samurai. Ha provato un riavvio della serie Dead to Rights. Ha provato l'avventura orientale e mitologica Enslaved. Ha provato uno sparatutto incentrato sulla gravità chiamato Inversion. E poi c'era Splatterhouse. Un gore-fest della fine degli anni '80 che infiammò le console di una generazione. Dato che si trattava di una brutale serie "mature" e Namco Bandai aveva la completa proprietà dell'IP, la filiale americana della casa editrice era entusiasta.

«Resident Evil è stato un grande successo di Capcom» - afferma Iwai. 

«Abbiamo cercato un successo simile utilizzando un franchise ben noto. Pensavo fosse una scorciatoia»

A questa specifica richiesta risponderanno in molti, ma tra tutti svetteranno nettamente i Ninja Theory, l'eclettico devteam inglese che con l'affascinante Enslaved : Odissey of The West, pur non essendo una ip Namco) si farà notare nell'Olimpo videoludico e i Bottle Rocket Entertament con il reboot imminente di SplatterHouse.

Genpei toma den Baraduke sono due semi sconosciuti titoli Namco che se opportunamente rivisitati, potrebbero risultare recuperi videoludici decisamente interessanti


          
C'è una malcelata nostalgia di chi vi scrive,
nell'affermare ciò, naturalmente.
 
 
Nell'estate del 2006 , Dan Tovar, CEO e figura chiave del progetto SplatterHouse e Mark Brow (Co-producer) iniziano un entusiastico brainstorming per il reboot di SplatterHouse che non solo dovrà accontentare i gusti del nuovo pubblico, ma dovrà anche appagare i gusti del vecchio, come ogni reboot che si rispetti, avrebbe premura, d'altronde. Ciò che seguì fu la ricerca di uno studio di sviluppo americano con un debole per i combattenti, una scelta che avrebbe perseguitato Namco. Il devteam scelto dai due è BottleRocket Entertaiment devteam fondato nel 2002 da Jonathan "Jay" Beard e da un certo numero di suoi colleghi, collaboratori conosciuti sul campo, che come lui hanno lasciato il San Diego Studio di Sony Entertaiment, per formare una nuova società di sviluppo giochi. Totalmente indipendente. La loro scuderia di giochi annovera pochi titoli di spessore ed è relativamente povera, tuttavia il devteam si distingue per The Mark of Kri (2002) e raggiunge un accordo con Sony per creare Rise follow - up del Kasai (2005) e Xiaolin Showdown per Konami, uscito nel 2006. 
Membri del team hanno lavorato in precedenza su Dick Tracy, Star Flight, Vectorman, World Series Baseball, Jurassic Park, Raptor : Call of the Shadows, e persino film animati come Sinbad, Il principe d'Egitto e La strada per El Dorado, giusto per non farsi mancare nulla.


Nonostante questo curriculum non esattamente florido, la divisone americana di Namco Bandai Games, decide di investire sul progetto e su questo devteam che sembra piccolo, ma sembra avere qualche credenziale e qualche idea, fin dai bozzetti preparatori del gioco. Prima di raccontarvi di come un forum con poco più di 5000 utenti aiutò nello sviluppo di un gioco, è bene specificare che il devteam scelto era considerato un cavallo vincente.  

«Ho imparato molto da Splatterhouse non vorrei augurare a nessun altro un'esperienza simile...»
dice Russell Schiffer, senior director of technology di Namco Bandai, ridendo mentre parla. Lo studio BottleRocket Entertaiment, viene dunque incaricato da Namco Bandai Games per creare un nuovo gioco della serie SplatterHouse, Jay Beard si mette in contatto con diversi artisti e designer e così inizia il lento processo di stesura del gioco. Bandai Namco firma un accordo, BottleRocket mette circa 35 persone a lavorare su Splatterhouse. È stato uno dei due progetti per lo studio, coesistendo con un gioco basato su Flash per DC Comics per la casa editrice Brash Entertainment.

Anche The Flash di BottleRocket fu cancellato...

 

«Conoscevo Jay - ci dice Iwai - c'è stata una forte spinta da parte della direzione per usare BottleRocket. Erano abbastanza famosi»
 
Un documento di progettazione definì gli obiettivi di sviluppo per il combattimento e la tipologia di gioco tradizionale prefissato e naturalmente uno stile visivo che doveva ricordare i vecchi giochi. Se ve lo state chiedendo questo piano di esecuzione non fu seguito da BottleRocket, che iniziò una frattura tra lo sviluppatore e l'editore, naturalmente a loro insaputa.

«C'era un grande attrito tra quello che Namco voleva e quello che Jay Beard voleva»

- dice Scott Holty, che iniziò a lavorare in BottleRocket per sette mesi come progettista senior. 

«Queste due cose non hanno mai realmente coinciso. Non sono mai stati in linea con ciò che ogni parte voleva con il gioco»

Molti artisti coinvolti nel progetto affermano che l'approccio di BottleRocket era un po' troppo vicino al lavoro passato dello staff di sviluppo. 

«Stavano davvero cercando di far calzare il sistema di puntamento di Mark of Kri e questo non è quello che Namco voleva, niente affatto» dice l'ex concept artist di BottleRocket, Dave Wilkins.

Insieme a questo, i disegni dei personaggi si allontanavano troppo dalla tipica e cara mostruosità di Splatterhouse. Alcuni ​​disegni che Namco Bandai ebbe la possibilità di visionare non la soddisfacevano assolutamente.  Tutto questo continuava ad avvenire, all'insaputa completa della fanbase. Nelle fasi iniziali del progetto.

"C'era un mostro alquanto strano - ci dice Alvin Chung - un tizio con un pene ed un televisore...non sembrava essere parte di Splatterhouse, pensai che non avevano letto il contratto" 
«Fondamentalmente dovevano lavorare su Splatterhouse tenendo fede ad un documento di design in cui eravamo reciprocamente d'accordo» - afferma Iwai. 
«Quella parte mostrò il fianco solo quando il nostro staff ha visitò il loro studio una seconda volta. Subito dopo che lo staff di Bandai Namco lasciò i loro locali, iniziarono a fare una cosa diversa, ordinata da Jay»
«Ogni volta che consegnavamo qualcosa, Namco Bandai aveva lamentele e problemi, continuavano a ripetere che non volevano Mark of Kri» dice Holty.

Tutto questo precedette di diversi mesi quello che accadde.
Nell'autunno del 2006, Namco Bandai Games America e Namco Bandai Games Giappone accendono la cosidetta green light e il progetto parte fin da subito, ufficialmente lo sviluppo inizia il 1 gennaio 2007. Durante tutto questo periodo, la comunità della West Mansion è stata utilizzata come risorsa primaria dell'intera squadra di sviluppo per tutti gli aspetti di Splatterhouse, dalla trama, alle informazioni di continuità della serie, alla descrizione dei personaggi, dalla colonna sonora di riferimento e recupero dei materiali ufficiali degli anni passati che la vecchia Namco non possedeva nemmeno più, essendo giapponesi. Non era quasi mai accaduto prima nell'industria che conta del videoludo, ma lo sviluppo del gioco fu lasciato in larga parte nelle mani della fanbase di SplatterHouse che aveva aperto un canale diretto con gli sviluppatori di BottleRocket, direttamente dentro il forum della West Mansion.
Dan Tovar, renderà noto su diverse riviste che tutto il materiale d'archivio e catalogazione presente sulla West Mansion non fu solo d'aiuto ma addirittura necessario.

"La West Mansion e Rob (l'amministratore della West Mansion) ed i ragazzi, ci hanno fatto risparmiare una quantità immensa di tempo e di ricerca, specialmente durante la fase di sviluppo della trama e dei personaggi"

         Dan Tovar

Lo sviluppo del gioco procede in un'estasi collettiva di promesse e speranze, fino a quando non è completato sufficiente materiale per mostrare "The New" SplatterHouse al grande pubblico. L'onore se lo riserva il numero di Giugno 2008 di Electronic Gaming Monthly, che ottiene l'esclusiva, dedicando persino la copertina a Rick, è il delirio : il retrogaming esiste ancora.

"Retro Revival"

N
amco Bandai America, come precedentemente accennato, apre le linee di comunicazione con i fan e tutto procede senza intoppi, fino a quando i primi video inizarno a affiorrare da network videoludici noti e meno noti, generando l'orrore, stavolta quello vero. Il timore, la paura viscerale che SplatterHouse fosse finito nelle mani sbagliate, brutalizzato poco più che da mestieranti del videogioco, era assai concreto. Davanti agli occhi di tutti c'era un autentico sfacelo, un gioco che si presentava, sulle prime, davvero malissimo, e che mostrava un taglio artistico americanoide, decisamente rozzo e poco definito.
«La grande decisione che hanno preso, ovvero l'utilizzo del motore di gioco Gamebryo, è stata una decisione sbagliata» afferma Michael Seare, che iniziò il progetto a BottleRocket come programmatore di fisica e in seguito divenne ingegnere capo. «Dal punto di vista tecnico, è un motore orribile in quanto non è veloce. [...] è stato terribile da programmare.» - «Non penso che abbiano mai prodotto nulla per PlayStation 3 prima» afferma Chung. «Ricordo di essere entrato nel devteam e di aver lavorato su un unico livello, non hanno mai capito come una normale mappa dovesse sembrare, prima di essere funzionale, qualcosa di bello da attraversare. È stato strabiliante, per certi versi». Un Rick deformato nelle intenzioni e nelle fattezze, si faceva largo dentro livelli assolutamente poveri e scialbi, se le immagini facevano presagire qualcosa di estremamente brutto, poco rifinito, assai poco giapponese e poco stilistico, animazioni e proporzioni sballate non erano certo un buon biglietto di presentazione per questo reboot. E se ne stavano accorgendo molti altri.

In breve iniziò a farsi strada in tutta la comunità la netta sensazione che lo Splatterhouse di Bottle Rocket sarebbe stato un tonfo clamoroso, un giocaccio immondo, un reboot indegno e soprattutto una pietra tombale sulla serie, grossa e pesante da spostare per gli anni a venire. Niente si sarebbe più mosso lì sotto, e qualunque cosa ci fosse, avrebbe trovato la pace o la dannazione eterna. Il timore che Splatter House fallisse era enorme, nessuno lo diceva chiaramente, ma sul forum iniziarono a piovere a valanga discussioni rivolte direttamente ai Bottle Rocket, presenti sul forum e apparentemente bendisposti ad ogni sorta di aiuto o critica. Finora, a parte qualche mugugno generale su nuovo look di Rick, considerato troppo distante dalla solita casacca smanicata e strappata, non si avevano avuto riserve sul concetto di reboot, ma stavolta, il design dei personaggi e dei mostri (fin troppo puliti e fin troppo plasticosi), gli sfondi che lasciavano più di qualche dubbio, le ambientazioni abbastanza lontane dalla serie, in poche parole, la fanbase cominciava ad agitarsi, del resto però, l'uscita era stata prevista a metà 2009 (o fine). Era presto per decretare la morte di qualcosa.
  
Il matrimonio tra Namco Bandai e Bottle Rocket ebbe un brusco epilogo nel Febbraio 2009 ma prima di allora è bene tenere a mente un aspetto di carattere primario. Molti fanatici di SplatterHouse dimenticarono che dietro al franchise che ha goduto di discreta fama nei passati anni, c'era (e c'è) una Namco solida. Una corporazione giapponese di intrattenimento videoludico che non ha mai abbandonato un franchise, per quanto minore esso potesse essere, per quanto poco conosciuto potesse risultare, per quanto potesse incrementare di poco o molto la loro economia ed investimenti. Ad onor del vero il lavoro svolto dai Rock Bottle non era così osceno come ci si potrebbe aspettare ma mancava di rifiniura, eleganza, stile e gusto, faceva trasparire chiaramente una direzione poco ortodossa e molto approssimativa, un gioco che si annunciava già un flop. Namco aveva intuito che probabilmente i ragazzi Bottle Rocket non erano la scuderia giusta su cui investire per una eventuale (difficilissima) rinascita di un brand storico, lo sapeva, tanto che bloccò il gioco in due diverse occasioni.

«Splatterhouse dal lato BottleRocket iniziò a mostrare alcuni progressi davvero interessanti, ma poi ha iniziato a spazientire la divisione investimenti di Namco, i produttori di BottleRocket ci chiamavano "Guarda, abbiamo rielaborato l'arte su questo personaggio" - di nuovo...»

«Questo ha iniziato ad insospettirci, perché non ci stai mostrando progressi di gameplay?" [...] Avremmo visto il gameplay successivamente, determinando definitivamente che il progresso non era al ritmo che volevamo che fosse» - Dice Russell Schiffer, senior director of technology di Namco Bandai

«È sempre difficile quella posizione perché vuoi spingere la tua voce creativa, ma allo stesso tempo, stai cercando di rappresentare la società per cui lavori» - dice Holty.

«Poi ti rendi anche conto che Namco è quello che paga è la compagnia»

Il primo stop arrivò dopo che Namco (JPN) visionò la prima beta del gioco di Bottle Rocket. La corporazione giapponese definì "sotto ogni standard attuale" la produzione e da ogni punto di vista la si volesse vedere, sia il comparto grafico che quello delle animazioni. Tecnicamente era un gioco pessimo, al quale serviva una grossa sistemata, nonostante avesse parecchie intuizioni ed idee, a cominciare dal "Dismember Rick" (il protagonista che si smembrava quando subiva colpi) fino al gameplay "centrato" sulla mattanza ed alcuni aspetti della storia curata, da nientemeno che Gordon Rennie, celebre autore di fumetti americani tra cui figurano Judge Dredd e Necronauts. Il team di BottleRocket di Jay Beard continua più o meno con la stessa visione del gioco, facendo qualche progresso su Splatterhouse per 18-24 mesi. Anche lo sviluppo del gioco di The Flash è continuato, mantenendo il team di sviluppo BottleRocket in piena funzione, anche come accordo economico. Nel novembre 2008, Brash Entertainment chiude, il che significava che lo sviluppo di BottleRocket su The Flash non aveva più finanziamenti. Rimase dentro BottleRocket una seconda squadra di sviluppatori, sostanzialmente senza lavoro.

Concept Art 2010 
BottleRocket, incurante del monito lanciato da Namco Bandai Games mette online un sito con tanto di front page graficamente rozza e scan al suo interno a dir poco orripilanti, che ben poco facevano sperare, non vi è più traccia di questo sito web, ma vi assicuro che era quasi commovente. Anche i pochi video allegati nella sezione "video" sono deludenti, così un secondo giro di impressioni più o meno professionali (secondo stop) spinge Namco tempestivamente a togliere il gioco ai Bottle Rocket i quali non la prendono affatto bene, dicendo che il gioco era prossimo alla chiusura e giurandola legalmente a Namco, responsabile di non aver mai contribuito attivamente alla stesura del gioco. Ci sono molte voci che hanno dato risposte contrastanti sul destino degli sviluppatori di Flash. Alcuni hanno detto che i membri del team sono rimasti e hanno aiutato a creare Splatterhouse. Altri hanno detto che BottleRocket ha continuato a lavorare su The Flash, con la speranza di assicurarsi un altro editore. Altri ancora hanno deciso di lavorare con ritmi più celeri. Diverse fonti hanno riferito di essere rimaste sorprese, tuttavia, visto che la società hanno continuato a spendere anche in questa criticità economica. Per esempio BottleRocket costruì una sala da cinema dentro lo studio, nonostante avesse solo un progetto in fase di sviluppo. I pezzi grossi di Namco Bandai erano ancora molto scontenti della mancanza di progressi di BottleRocket. «Quando l'ho visto, mi resi conto che era una collezione di caratteristiche e pezzi ma senza un vero metagame, e gli strumenti erano così poco implementati che nessun progetto stava arrivando» dice David Robinson, produttore esecutivo di Splatterhouse di Namco Bandai. «Sono andato laggiù e ho iniziato a incontrarmi con i ragazzi, provando a farmi sentire»
dice Roger Hector, allora vicepresidente senior dello sviluppo prodotto presso Namco Bandai «Per farla breve, tutti mi hanno stretto la mano e mi hanno detto: sì, ci siamo. Va tutto bene» - «Quando le consegne piano piano slittavano e le cose che avrebbero dovuto fare non stavano accadendo, dovetti fare una pesante raccomandazione a Namco e dire che niente stava funzionando»
Namco risponderà inoltre che la cifra richiesta a sostegno costante dei BottleRocket è stata sperperata senza alcun ritegno, pare anche per commissionare l'artwork di SplatterHouse a Simon Bisley, illustratore di elevetissimo spessore artistico che comparirà nei credits finali del gioco e per non meglio precisati "battage pubblicitari" mai fatti, in sostanza. Qui di seguito i link che testimoniano la faccenda :

http://www.gamasutra.com/php-bin/news_index.php?story=22750

Questo artwork di Simon Bisley è denominato "SplatterHouse" 
ma non figura nel gioco di Namco.

Quando la notizia venne passata alla stampa, un rappresentante Namco Bandai comunicò a Kotaku la direzione aziendale intrapresa: «In questo momento, non siamo pronti a discutere dettagli specifici sullo sviluppo del gioco e auguriamo a BottleRocket buona fortuna nei loro sforzi futuri». Lo stesso giorno, Namco Bandai portò un camion negli uffici di BottleRocket per raccogliere kit di sviluppo. Alcuni membri della squadra non avevano alcun preavviso. «Era solo un normale giorno lavorativo», dice Holty. «Tutti erano al lavoro e c'erano un mucchio di camion in movimento di fronte all'azienda. Tutti si chiedevano cosa stesse succedendo...» L'ex produttore associato di Namco Bandai Dan Tovar, che aveva partecipato al progetto fin dal primo momento, ricorda quel giorno: «Quello che è seguito è stata una delle esperienze più spiacevoli che ho avuto fino ad oggi nella mia carriera professionale." Tovar continua, "C'erano uomini adulti che piangevano, ci credevano davvero al gioco» [...]

"NON ABBIAMO ANNULLATO IL GIOCO.
ABBIAMO FIRMATO IL VOSTRO LICENZIAMENTO RAGAZZI"

«Ci hanno portati tutti dentro una stanza e ci hanno detto: «Questo è il tuo ultimo assegno, perché non abbiamo più soldi in banca» - dice Dave Wilkins. Non tutto è stato perso per alcuni membri del team BottleRocket, però. Durante il recupero del kit di sviluppo, la direzione di Namco Bandai distribuì alcuni biglietti da visita. Splatterhouse non è stato cancellato - lo sviluppo doveva continuare, ma ora sotto la bandiera di Namco Bandai «Pensiamo che sia stato Jay ad ingannare lo studio», aggiunge Iwai. «Alcuni degli artisti erano davvero bravi. Alcuni dei game designer, anche» Un mese dopo la decisione, Iwai ha dichiarato pubblicamente la posizione di Namco Bandai. BottleRocket ha perso Splatterhouse a causa di un "problema di prestazioni" con il team, ha detto Iwai in un'intervista a Gamasutra, descrivendo vagamente i problemi interni. Due giorni dopo, BottleRocket rispose: "Splatterhouse era in fase di sviluppo da oltre diciotto mesi e fino a quando il titolo non è stato portato via da noi, non avevamo perso nessuna milestone definita contrattualmente. Quindi, non ci sono stati problemi di prestazioni durante questo periodo di tempo o la gestione del titolo da parte di Namco era inetta" Iwai nel 2018 puntualizza quello che all'epoca non potè rendere noto al pubblico "Sapevo che non potevo entrare nei dettagli. [...] So che le persone tendono a incolpare l'editore per aver cancellato un progetto, ma non è sempre così. Era puramente un problema di prestazioni"

Nei mesi successivi, ovvero Gennaio 2009, qualche idiota del devteam BottleRocket venderà la demo del gioco non completato e che conta una manciata di livelli debug, alla esorbitante cifra di 675 dollari su un forum di emulazione e pirateria. Attualmente questa demo è visionabile su youtube e non vale nemmeno la metà di una cifra simile, se ve lo state chiedendo. Tuttavia qualcuno la acquistò (No, non io n.d.a). La demo mostrava una IU diversa, e la possibilità di "locckare" i nemici. Caratteristica che fu eliminata nella versione finale. SplatterHouse è un brawler-game. E questa sua natura casinara è la sua qualità più importante. Un gioco di pancia e meno di cervello. Non servono le finezze di un combat-syetem di alta scuola giapponese, serve sfasciare cose, uccidere a più non posso e compiere autentiche mattanze su schermo.



Sebbene sia ben poco fiduciosa dell'operato dei BottleRocket, devstudio tra l'altro prossimo al tracollo finanziario (che puntualmente avverrà dopo pochi mesi), Namco non se la sente di cestinare tutto il materiale finora sviluppato dal devteam di San Diego, così opta per un ripristino completo dell'ordine, facendo assumere al gioco una nuova identità. La data di lancio viene spostata in un ipotetico 2010 e viene fatta ripartire la campagna pubblicitaria da 0, stavolta più aggressiva e molto più ragionata rispetto a quella precedente. Stavolta la sponsorizzazione di Namco conta diverse prestigiose collaborazioni sia in ambito musicale che cartaceo. Namco sponsorizza alcuni festival di musica metal il Revolver Golden Gods, il SXSW, il New England Metal Festival e Hardcore Festival XII, presentando non solo il suo gioco ad un pubblico assai tollerante a tematiche violente e horror, ma persino tutte le band metal (death/brutal e trash) che firmano parte della colonna sonora del gioco. E di certo, questo passaggio è felice. Sia per la promozione, sia per diffondere il verbo.

SplatterHouse appare all'E3 (Elettronic Expo) di San Diego, al famoso ComicCon e al Penny Arcade Expo in quello stesso anno, innumerevoli articoli e previews vengono rilasciati tra cui alcuni video che non lasciano dubbi, mostrando chiaramente il grado di attenzione prestato in questo "reboot" del tutto rinnovato. Si intravedono esattamente tutti quegli elementi che erano stati richiesti a gran voce dai fans: maggiore fedeltà al passato della serie, citazioni al passato retrogame e naturalmente un feeling del tutto nuovo. Uno stile convincente che mixa stili e concept-design odierni. Mentre la macchina Splatter procede di intensità crescente, non si ferma per un solo giorno la collaborazione con i fan della saga sul portale West Mansion, tanto che su espliciti suggerimenti, di tutta la comunità, vengono riprogettate intere sezioni del gioco e ridisegnati parzialmente alcuni nemici, omaggiando dichiaratamente il passato. Su precise indicazioni della fanbase, nascono persino alcuni livelli di gioco ex-novo. E vengono aggiunti molti elementi di gioco per rendere macabra l'avventura di Rick. Gli appassionati di SplatterHouse non solo vengono ascoltati, ma vengono persino interpellati. Tutto sembra un sogno anziché un insostenibile incubo, dove i fan hanno voce in capitolo, sempre pronti ad offrire un consiglio, a spulciare un manuale giapponese del NEC, a sondare una guida, confrontandosi con altri fan del forum.
Il reboot di Namco divenne anche il primo videogame trattato su Fangoria, storica rivista di cultura e cinema Splatter/Horror/Gore, ritagliandosi anche la copertina con l'uscita del numero di agosto 2010, sul quale, per ovvie motivazioni ci finisce pure Venerdì 13 e Lucio Fulci. SplatterHouse è a tutt'oggi l'unico videogioco horror ad essere comparso sulle insanguinate pagine di questa storica 'zine. Tutti i fan del cinema e di Venerdì 13, non possono non ricordare bollenti estati in cui rimanevano fino tarda notte nella penombra di sale arcade, a splatterare le creature del Dr.West, chiedendosi se quello era il gioco di Friday 13.


Con un'abile, quanto inaspettata mossa commerciale, Namco si assicura anche la collaborazione pubblicitaria di Playboy Magazine, rivista leggendaria dedicata all'erotismo e a bellissime ragazze che posano come mamma le ha fatte. Il magazine dedica a Jennifer, la ragazza di Rick, nientemeno che il paginone centrale come "Gamer Girl of the Month" nel numero di novembre 2010 Intitolando "Miss Splatter House". Anche questo genere di promozioni portano un discreto ritorno d'immagine. Specialmente quando pare assodata la triplice forza motivazionale del gioco: horror, metal ed erotismo-soft. Una mossa decisamente vincente.
Più esplicito di così...si MUORE.

Oltre al bàttage pubblicitario orchestrato ad arte da Namco, il gioco migliora sensibilmente sotto praticamente ogni punto di vista, dalla grafica, allo stile (divenuto accattivante) e appena compaiono le prime immagini del restyle grafico, stilistico ed estetico, a cui è stato sottoposto il gioco (Marzo 2010) Rick inizia a scalare rapidamente le classifiche di tanti forum e tagboard di videogiochi. C'è hype selvaggio nell'aria, tutti vogliono giocarlo e sembrano ormai dimenticate le perplessità o i dubbi iniziali. Come se già il materiale mostrato non fosse già debitamente succulento, il nuovo Splatterhouse, che ormai pare certo porterà tutti i fasti del gore e dello splatter su console di nuova generazione, includerà anche un simpatico bonus retro nostalgico non di poco conto: al suo interno troveremo infatti tutti e tre i primi capitoli della saga originale (SplatterHouse - SplatterHouse II - SplatterHouse III). Il primo episodio sarà nientemeno che la versione Arcade giapponese (incensurata) mentre il secondo ed il terzo capitolo, quelle del vecchio e caro Sega Megadrive/Genesis. Abbastanza insomma per rendere felice ogni tipologia di giocatore, compreso i più radical-chic retrogamer. Di fatto, comprando il reboot si ottengono tutti i giochi della serie. L'ennesima mossa azzeccata.

Anche Namco stessa, che finora si era solo limitata a parcheggiare il gioco a casa BottleRocket, prima e dopo il tracollo finanziario, entra prepotentemente nello sviluppo, reclutando i migliori ex-programmatori del devteam sopravvissuto di San Diego e li affianca al suo devteam interno SURGE, studio di NamcoT giappo/americano capitanato da Masaki Namura e Shinobu Nimura, Takashi Koshigoe, Ken Shinoda, Sangbae Nam e molti altri artisti che avevano già avuto occasione di collaborare assieme ad Afro Samurai, altro titolo interessante e poco noto di SURGE. Dave Wilkins fissa un artwork memorabile per il gioco, che unisce tratti nuovi e old fashion, ricreando sapientemente suggestioni che parevano interrotte da decadi. Ormai è solo questione di poco. Il gioco è già un CULTO.
Nel tentativo di continuare a collaborare, Namco Bandai assunse un certo numero di sviluppatori di BottleRocket, formando uno studio a Carlsbad, in California, vicino alla sede di BottleRocket a San Diego. Il gruppo lavorerà insieme allo studio di Namco Bandai a Santa Clara, in California, il team responsabile per il 2009 di Afro Samurai. Splatterhouse rimase in un limbo per tre mesi quando Namco Bandai formò il nuovo studio Carlsbad, acquistò attrezzature e si sistemò. La distanza tra Carlsbad e Santa Clara - più di 400 miglia - creava molte complicazioni «Volavamo avanti e indietro un bel po 'solo per mantenere la continuità e le riunioni di squadra» dice Holty, un ex dei BottleRocket ripescato dal licenziamento collettivo «Inoltre, all'inizio, dovevo andare a insegnare tutti gli strumenti a tutti i designer e artisti, e fare in modo che tutta la squadra diventasse veloce, più della precedente». Il nuovo gruppo di Carlsbad aveva bisogno di mettere insieme una squadra completa. Roger Hector e altri coinvolgono un certo numero di membri chiave di BottleRocket, incluso il programmatore di fisica Michael Seare «Non sono necessariamente orgoglioso di quello che ho fatto qui, ma nel momento in cui [Hector] mi ha contattato, avevo accettato un'offerta da Rockstar San Diego» afferma Seare «Stavo per iniziare a lavorare il lunedì. Hector mi ha contattato due volte durante questo fine settimana per discutere una serie di dettagli sulla creazione dello studio di Carlsbad, e ho detto sì, lo farò. Questo significava andare al lavoro a Rockstar lunedì e dimettersi»
Namco Bandai in questa nuova incarnazione ha cercato di mantenere il budget sotto controllo avendo già pagato un anno di tempo di sviluppo, il che significava orari stretti e forti pressioni.
«Hai un anno e mezzo per finire questo gioco...»
dice Wilkins «...vediamo dove state tra tre mesi, e potremmo decidere di uccidere il progetto e potremmo anche non farlo» Quindi fino al traguardo è stata una terribile sfida»

From 1992 to..2010 !

Le due squadre hanno iniziato ad analizzare ciò che potevano mantenere. BottleRocket non aveva completato una quantità di lavoro utilizzabile per il gioco - «C'era il guscio ruvido di un mucchio di livelli, ma non si poteva interpretare l'esatta forma» Dan Tovar specifica i ritmi toccati durante lo sviluppo «Enormi quantità ed interi blocchi del gioco non erano completi e, soprattutto, non era affatto divertente, salvare qualsiasi lavoro significava ridurre costi e tempo». Robinson formò un piano di attacco strategico: «L'unico modo che abbiamo potuto utilizzare è stato creare un nuovo significato ai giorni senza tagliare le funzionalità del gioco». Affermò Robinson «Come crei giorni? In questo modo: abbiamo avuto circa 90 giorni di bug da sistemare ma solo 62 giorni da curare. Avremmo fatto esplodere questo programma in due, tre mesi. Quello che facemmo fu semplice, stare sveglio tutta la notte, ogni notte. E cambiare gli orari di tutto il team in modo che i test avvengano mentre tutti dormono» - «Tutti nella squadra hanno tirato fino all'ultima goccia di sudore» continua Robinson. «Quella goccia significava che dovevi aggiustare qualsiasi bug nel gioco, e dovevi essere sempre di guardia» «Quel metodo era vicino a 20 di noi, nello specifico» - «Mi presentavo alle 4, alle 5, e producevo i miei altri giochi fino alle 6 o alle 7 di mattina. Tutti avrebbero presentato la loro ultima build durante la notte e io avrei giocato fino al mattino. Non appena avessi riscontrato un bug, avrei richiamato chiunque fosse al comando quel giorno, loro si sarebbero presentati, avrebbero riparato il problema e io avrei ricominciato il ciclo di gioco. Abbiamo guadagnato 22 giorni con questo metodo» - «C'è stata un'occasione, in cui tre giorni, penso di aver dormito per tre ore» - ricorda Chung.
«Ricordo di aver dormito sul pavimento per prendere una pausa dal carico di lavoro»



Alcuni lavori dei vecchi BottleRocket hanno regalato alla squadra una tregua durante quelle lunghe notti.

«C'era questa strana concept art del vecchio team, prima che iniziassimo i nostri lavori notturni...di questo strano tizio da zombie con una batteria per auto legata al sedere e che indossava un pannolino...» dice Wilkins. «Quando devi lavorare fino a tarda ora, aspettando che arrivi la pizza e sono le 2 del mattino per fare una compilazione di problemi, quel genere di cose aiutano. Mandammo quell'immagine in un allegato e-mail a tutto lo staff al lavoro, e non dimenticherò mai le risate di tutti»
Mantenere alcuni dei lavori di BottleRocket creò non pochi problemi. Per risparmiare tempo, l'impianto di animazione originale di Rick rimase, a confermalo è lo stesso Wilkins. «Puoi vedere [nel gioco finale] che Rick ha un bicipite molto corto e la sua testa è un po' grande, ed è tutto voluto perché abbiamo dovuto fare in modo che lo scheletro funzionasse»
A
nche il sonoro del gioco fa la stessa fine, attestandosi nell'esatta metà tra due mondi che si contemplano a vicenda : metal aggressivo e senza tregua durante le mattanze di Rick, ed una rielaborazione accurata delle vecchie BGM della serie ad opera di Howard Drossin che compie l'impossibile, facendo coesistere pacificamente due universi sonori distanti, con indubbia bravura artistica e di mediazione sonora. Qui potete trovare una completa panoramica sulla magnificenza della colonna sonora di SplatterHouse "2010" ed in aggiunta un album di remix. Ascoltate e perite. Ecco come è possibile far coesistere universi sonori lontani.

http://howarddrossin.bandcamp.com/album/splatterhouse-volume-1-metal
http://howarddrossin.bandcamp.com/album/splatterhouse-volume-2-cut-scenes-ambient-and-retro

La musica si amalgama, come del resto le truculente immagini del gioco, in maniera pressoché perfetta, è violenta e massacra timpani durante gli scontri e appena si smorza la brutale carneficina, ecco che ricompaiono le intramontabili e care nènie di Kaneda "Milky" Eiko, compositrice originale del secondo e terzo SplatterHouse che a sua volta si ispira alla colonna sonora dei films di Lucio Fulci (ad opera di Walter Rizzati) e John Carpenter, per diverse musiche "originali" (In particolare il motivo dell' End Sequence di Splatterhouse 2 è molto simile al tema dei titoli di testa del film di Fulci "L'Aldilà e tu Vivrai nel terrore". Ad ogni modo, ascoltate e giudicate voi l'amalgama sonora di Drossin.







Questo talentuso "Hidden Team" eredita l'ossatura del primitivo, ma affascinante Splatter House dei BottleRocket, mantenendo buoni rapporti con il restante del devteam originale (o quel che ne rimane), che comunque possedeva i requisiti minimi di qualità e competenza, volti ad aiutare il nuovo team subentrato. Splatterhouse acquisì uno stile artistico cel-shaded, simile a quello che il team interno di Namco Bandai aveva fatto con Afro Samurai - «A quel tempo con Afro, abbiamo guidato l'industria in quella ricerca...Sentivamo che potevamo davvero spingere questo programma, possedendo e sentendo quello stile artistico»  - afferma Robinson. Con l'aggiunta della fedeltà grafica, Splatterhouse assunse anche un nuovo livello di gore - «Rick avrebbe afferrato i suoi avversari e compiere macabri squartamenti, strappando teste e braccia con il sangue che sgorgava ovunque. Alcuni a Namco Bandai, in Giappone, hanno trovato il gore esagerato» - «Dal punto di vista di Bandai o Namco, potrebbe essere troppo» - affermò Iwai - «Ma ho detto, voi ragazzi volete ottenere un successo globale. Il mercato dei giochi con classificazione M è un mercato enorme. Se siamo in grado di entrare nel mercato, perché no? A qualcuno non piaceva il rating M all'inizio, ma in qualche modo sono stato in grado di accettare la cosa». Il gioco, come specificato, viene rimodellato quasi completamente, viene ristabilita una estetica precisa che lo rende riconoscibile e assolutamente originale, vengono riprogettate trama e livelli, la storia viene riscritta con maggiore attenzione alla vecchia serie, i personaggi vengono nuovamente caratterizzati e tocco di genio, le cutscene del gioco vengono affidate ad un team esterno che compie l'impossibile: riesce a ri-caratterizzare completamente l'atmosfera del vecchio SplatterHouse e al contempo a modernizzarlo, facendolo sembrare quasi un pixar-game. Brain Zoo Studios si occupa del concept design, del motion capture, delle sequenze cinematiche (numerose e decisamente sofisticate) e di molti altri aspetti artistici, ed eccelle nel farlo.



Il risultato finale fu semplice e pura utopia videoludica : due devteam di estrazione culturalmente diversa, si fusero nello sviluppo consanguineo del gioco, amalgamando i propri talenti e livellando le divergenze artistiche, costruendo qualcosa di organico, incredibilmente suggestivo, caratterizzato retro gaming allo stato dell'arte moderna dei videogiochi.

Si tratta di un atto d'amore, genuino e gioioso, nei confronti di un certo modo proto-tridimensionale di concepire il videogioco. Praticamente sono stati tradotti e offerti tutti i luoghi comuni tipici della filmografia delle decadi 70-80-90 con il sapiente innesto di suggestioni multimediali come il ricorso alla musica metal e alla pornografia softcore. Praticamente ogni film di rilievo da 30 anni a questa parte trova una citazione degna, fino a spingersi a citazioni di lovecraftiana memoria. L'atmosfera di totale decadimento fidico e morale, unito alla putrescenza pressochè totale di ogni cosa scaraventa in un modo oscuro e senza speranza, alleggerito ed ironizzato dalla maschera, davvero eccezionale e dal tenore medio dei dialoghi. Sangue, budella, gore, luoghi umidi ed oscuri, depravazione.
Gladiatore

Lo sviluppo di Splatterhouse è continuato per un anno circa nell'ambito del nuovo accordo siglato a lunga distanza e con pesanti tabelle di lavoro notturno. Ciò ha portato il costo totale a circa 20 milioni di dollari prima che Namco Bandai pubblicasse Splatterhouse il 23 novembre 2010.
V
oci di corridoio non confermate (ma neanche mai smentite) svelano che nel devteam SURGE finiscono tutti gli sviluppatori più bravi dei BottleRocket, mentre lo studio sta per finire gambe all'aria. Altri rumors, parlano di un misterioso sviluppatore giapponese "legato" alla vecchia serie (Mr.Yokohama) che in qualche modo, partecipa attivamente alla stesura del gioco con preziosi consigli che fanno svettare il titolo e la produzione, assolutamente di livello. Namco farà opportunamente perdere ogni traccia di questa cosa: Non si saprà mai se questa voce di corridoio, questo rumor, corrisponde alla realtà e se effettivamente qualche vecchio sviluppatore di SplatterHouse è stato realmente coinvolto nel progetto, tutto rimane molto vago e romantico. Conoscendo il labirintico mondo delle collaborazioni giapponesi, in cui nessuno e tutti finivano nei credits, non pare così incredibile onestamente scoprire che qualche veterano abbia preso parte alla danza macabra. Quello che è realmente incredibile è il feeling che il gioco suscita fin dalla prima partita, nel vecchio retrogamer, nel giocatore veterano e nel giocatore neofita: Ci si sente immediatamente a casa, probabilmente per l'ultima grandiosa volta...


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2 Commenti

  1. Io l'ho giocato Splatterhouse reboot ed è stata una gran bella esperienza. Essendo inclusa anche la trilogia originale, giocando il 'nuovo' oltre ai 'vecchi' ci si rende conto di come il reboot rimane fondamentalmente un arcadozzo, come in passato, pur orientandosi verso il 3D (ovvio) e soprattutto verso un taglio più cinematografico con le varie cutscenes.
    Lo spirito è rimasto, in poche parole: mattanza di tutto e tutti. Un'autocelebrazione della violenza pura, della rabbia e dello splatter.
    Il gioco poi ha una sua precisa identità artistica che ho apprezzato parecchio, palpabile in ogni anfratto degli ambienti.
    Quanto al gameplay: è un action un pò caciarone (ma mai button smashing se lo si gioco a difficoltà massima) che però trova linfa in un ottimo sistema di armi secondarie (davvero utilissime, da vedere come una risorsa da gestire dato che si possono rompere se utilizzate per tempo prolungato) e in un parco mosse di tutto rispetto con tanto di trasformazione molto in stile the suffering ps2 (altro giocone).
    Dispiace che il titolo non abbia venduto granchè... probabilmente è stato dovuto ad un misto fra lo snobbismo nei confronti di prodotti così nostalgici e 'tendenti' quasi al retrogame, la diffidenza dovuta allo sviluppo travagliato ed infine ad un aspetto tecnico non esaltante (animazioni solo buone e texture qui e lì non convincenti).
    Rimane un titolo che ho apprezzato tanto e che di sicuro è meritevole di 'luce' e di esser conosciuto a chi se lo fosse perso

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    1. Sono completamente d'accordo con la tua visone laxus91.
      Completamente.
      Splatterhouse regala un sano e genuino divertimento di pancia è eccessivo, violento, straordinariamente groovy, sopra le righe..però tutto sommato assai convincente in tutti gli aspetti che propone. Mi piace la tonalità della scrittura che lo fa sembrare un irriverente comix americano di terza o quarta categoria (DarkHorse o giù di lì) Mi piace la storia che attua un ripescaggio dal passato della serie senza temere di infangare nulla ma anzi accrescendone il Mito, arrivando al finale, iper-citazionista da Splatterhouse III. Mi piacciono le divertenti battute della HellMask, talvolta macabre, talvolta sconce e talvolta molto malvagie, che indicano una natura sovrumana dell'artefatto.
      Mi piacciono le innumerevoli citazioni a Lovecraft che si perdono a vista d'occhio, sono sublimi e poi l'idea dei diari del Dr.West è veramente ben gestita, si vede che c'è una cura maniacale e il desiderio di voler far partecipare i giocatori a questa kermesse della frattaglia e della mattanza
      Potrei dire che SplatterHouse mi ha quasi completamente conquistato, impagabile anche l'idea di mettere i capitoli originali della serie.
      In pratica è rimasto nel mio 360 per giorni e giorni..o dovrei dire...eoni.

      "Phase XIII : The House that Bleed"

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